Paolo Sirigu, 54 anni, direttore generale dell’aeroporto di Genova, le ha provate tutte: falchi-robot, cannoncini a gas, altoparlanti che emettono “bio-sound” fastidiosi. Inutile persine la registrazione straziante del gabbiano moribondo. Gli uccelli sono sempre lì a minacciare la collisione con gli aerei. È quello che si chiama bird strike, l’impatto tra velivoli e storni di volatili.
L’anno scorso allo scalo ligure sono stati 18, contro 16 del 2009. Fortunatamente, nessuno tragico. Il problema è mondiale. Dal 1988 gli impatti hanno causato oltre 200 vittime. Soltanto negli Stati Uniti i bird strike sono più di 7 mila l’anno e i danni globali superano il miliardo e mezzo di dollari. L’aeroporto internazione Tacoma di Seattle ha assunto un biologo per tenere lontano gli uccelli. È Steve Osmek, autentico specialista in materia, che ha escogitato una serie di espedienti. Innanzitutto, a Seattle hanno piantato alberi dal fogliame fitto, sul quale sia difficile nidificare. Poi hanno coperto laghetti e stagni, per evitare che gli uccelli acquatici vi si posino. Quelli che si avvicinano alle piste vengono spaventati con scoppi di fuochi pirotecnici o con raggi laser.
La novità è un sistema di radar che permette di rintracciare uccelli in un raggio di 10 km e fino a mille metri di altezza. Il radar costruisce modelli comportamentali degli stormi con i quali produrre vere e proprie previsioni del traffico dei volatili. Proprio come le previsioni del tempo e gli allarmi sulle raffiche di vento. «Il guaio è – osserva l’etologo Danilo Mainardi – che molti uccelli, grazie alla loro intelligenza e plasticità comportamentale, sono capaci di assuefarsi ad ogni situazione, soprattutto se in cambio traggono qualche vantaggio alimentare». Insomma, gabbiani, rondoni e gheppi hanno il cervello fino e non è facile ingannarli.